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Un testo è fatto di quello che dice e anche di quello che non dice, delle cose che mostra evidentemente scelte rispetto a quelle che scarta. Qui non si resta soltanto ai (mis)fatti degli uomini tristemente conosciuti ma si alza il tiro sull'immaginario. Cristiana e Sophie raccontano e disegnano e fanno poesia di "uomini immaginati", che non vuol dire fantasticati o irreali, anzi: "Uomini amici, amanti, colleghi, padri, sconosciuti della porta accanto, volti noti dell'universo mediale. Uomini molto diversi tra loro...". Piuttosto sono uomini raccontati attraverso un immaginario ampio ed è questa la scelta che allarga le maglie di questo libro. Quindi si parla di "maschilità plurali" che raramente trovano una rappresentazione: perché fino a ieri eravamo noi maschi a vedere non visti, a parlare del mondo, di tutto tranne che di noi stessi; e perché anche adesso, quando si parla del maschile, spesso lo si inquadra nel canone della maschilità egemone, dominante, tossica... sicuramente con tutta la sua ragione di essere, che ci riporta all'ordine del dominio maschile e al suo strumento della violenza, ma che rischia di far fuori ogni altra narrazione. E ancora, qui non si polarizza tra uomini buoni e cattivi a tutto tondo: accanto alla discussione delle categorie come "la crisi del maschile" c'è spazio per metterle in tensione con il racconto della cura, della discontinuità generazionale dai padri, dei nuovi inizi e delle trasformazioni in atto. "Un uomo... / Forte e debole ma insieme / Un uomo umano", di questo raccontano Cristiana e Sophie. Ora, se questo libro riesce a vedere cose nuove nella maschilità senza rimuoverne l'ombra, l'aggancio più forte per me sta proprio nel come è fatto questo sguardo per vederle. Mi torna in mente Le parole per dirlo di Marie Cardinal e la sensazione di sentire nascere quelle parole nel suo racconto, parole nuove con cui quella donna riusciva a contattarsi, ad afferrare qualcosa di sé e portarlo fuori, ad ascoltarsi e a dirsi. In un altro registro, anche le parole di Cristiana e le "parole piccole e grandi immagini" di Sophie ci restituiscono qualcosa di nuovo e profondo, dallo scambio con uomini che hanno raccontato le proprie storie in laboratori, focus group, esperienze sociali e artistiche. Qui non sono riportate direttamente le storie di quegli uomini ma ci ritorna il senso, il segno che quelle hanno impresso, assieme a tante altre, nel linguaggio di queste due donne che ce lo raccontano (le chiamano "le nostre contro-narrazioni"). Cristiana, che ho conosciuto come una donna di confine tra l'insegnamento universitario a Bergamo e l'associazione Alilò di cui è un'anima, cerca le parole della sociologia, quella che si muove "ai margini", quella che ci appassiona quando ha il coraggio di smettere di mimare le scienze dure e ritorna scienza sociale, quando decide di uscire dalla cittadella universitaria e dal pre-concetto dei questionari per ascoltare a fondo e contaminarsi con le storie delle persone. Le storie che si raccontano in modo nuovo possono generare o si possono accordare a nuove categorie per nominare la vita reale, per riconoscere le sue direzioni di senso (come quella di "metamorfosi" del maschile). Invece le immagini di Sophie, come dice lei, seguono "un lavoro di rivelazione". Vengono da dentro, hanno qualcosa di onirico nel suo tratto che si sparge, nelle forme di questi "uomini immaginati" che mi riportano alle illustrazioni di fiabe viste da bambino o ad alcuni bozzetti del '900. E poi ci sono parole liberate, di poesie, che mi sembrano dialogare con ogni uomo disegnato. D'altra parte Sophie è un'artista che usa entrare in un dialogo radicale con il testo a cui lavora: ci entra ripensando lo spazio del teatro da scenografa, con il suo corpo e la sua voce prestati alle marionette, con la sua personalissima lettura del testo che mette in scena, come la sua "Isotta" che reinventa con grande libertà di donna il testo originario. (dalla prefazione di Alessio Miceli)